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La critica letteraria di Jean-Paul Sartre dall'engagement all'Idiot de la famille

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      • Mot-clésFR Éditeur 322 articles 18 dossiers,  
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        Mot-clésFR Éditeur 211 articles 14 dossiers,  
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        Mot-clésFR Éditeur 35 articles 1 dossier,  
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      Texte

      « J’ai commencé ma vie comme je la finirai sans doute: au milieu des livres. Dans le bureau de mon grand-père, il y en avait partout; défense était faite de les épousseter sauf une fois l’an, avant la rentrée d’octobre. Je ne savais pas encore lire que, déjà, je les révérais, ces pierres levées: droites ou penchées, serrées comme des briques sur les rayons de la bibliothèque... je sentais que la prospérité de notre famille en dépendait 1 . »

      Jean-Paul Sartre, Les Mots, Paris, Gallimard, 1998, pp. 29-30.

      Una vita tra i libri, dunque, quella di Jean-Paul Sartre, che ne Les Mots (1963), la sua autobiografia, narra la storia del suo precocissimo apprendistato letterario, compiuto sotto la guida e la supervisione dell’autoritario e intransigente nonno materno Charles Schweitzer. Questo densissimo capolavoro descrive l’incontro del piccolo Poulou 2 con i classici della letteratura (non solo francese) con i quali egli si misura con infantile fierezza, vedendo in quei vecchi e rugosi tomi che puzzano di colla una sorta di reincarnazione degli uomini che li hanno scritti. Allo stesso modo, la biblioteca di casa che li conserva appare, agli occhi del giovane Sartre, come un tempio.

      E i libri, venerati come sacre reliquie, vengono presentati da Sartre in tutta la loro materialità e consistenza, in tutta la loro choséité (sono, come abbiamo visto, delle "pierres levées" sugli scaffali della biblioteca) mentre il loro contenuto appare indecifrabile al bambino che non possiede ancora la capacità di leggere. Il rapporto del piccolo Sartre con la lettura è la storia di un lento ma inesorabile processo di appropriazione che giunge quasi al termine di una battaglia, come ben riassume Pier Aldo Rovatti:

      Egli non sa ancora leggere, ma già vuole possedere dei libri, appropriarsene: non vede che righe nere senza senso, sa però che esiste un cerimoniale, tenta di metterlo in atto, culla i libri, li bacia, li tratta come bambole, li picchia 3 .

      Un ritorno, sia pur breve, a Les Mots si è reso necessario in quanto nessuno meglio di Sartre stesso, in questa straordinaria opera, esprime l’immenso valore che il grande filosofo attribuiva alla lettura.

      Per questa ragione è difficile esagerare l’importanza della critica letteraria di Sartre nella quale, come vedremo, la riflessione estetica e la speculazione filosofica non appaiono mai disgiunte. Inoltre, i testi dedicati da Sartre ad altri scrittori così come l’esposizione della sua teoria letteraria consentono di mettere in evidenza l’evoluzione del pensiero sartriano nel corso degli anni e di cogliere le importanti revisioni dalle quali esso è investito.

      In particolare, prendendo in considerazione i cosiddetti articoli programmatici (Présentation des "Temps Modernes", La Nationalisation de la littérature, entrambi del 1945; Qu’est-ce que la littérature?, 1947) e il Baudelaire (1946), che appartengono ad una prima fase della critica letteraria di Sartre, e raffrontandoli con L’Idiot de la famille, il monumentale studio dedicato a Gustave Flaubert (3 tomi, 1971-72), redatto e pubblicato in una fase più tardiva, è possibile isolare alcuni decisivi mutamenti che investono sia l’estetica che la filosofia sartriana.

      Lo scopo di questo contributo, allora, sarà per l’appunto quello di evidenziare lo sviluppo di alcuni concetti-chiave del pensiero di Sartre nel passaggio dai testi sopra menzionati all’Idiot de la famille (d’ora in avanti Idiot), che sembra presentarsi come una vera e propria summa dell’ultimo Sartre.

      Gli articoli programmatici, pubblicati tra l’ottobre del 1945 e il luglio del 1947 sui "Temps Modernes", e riuniti successivamente nel secondo volume delle Situations ( 1948), costituiscono una sorta di manifesto per una nuova letteratura. La scrittura vi viene presentata da Sartre come sinonimo di azione: l’uomo di lettere si trova, difatti, di fronte ad un bivio, un irriducibile aut-aut tra l’impegno, che implica una piena e consapevole partecipazione al presente, e l’irresponsabilità: in questo secondo caso, la letteratura è liquidata da Sartre come inutile.

      A questo riguardo, il filosofo crede di ravvisare, con un grado forse eccessivo di generalizzazione, il vizio dell’irresponsabilità in quasi tutta la letteratura borghese del XIX secolo:

      « Tous les écrivains d’origine bourgeoise ont connu la tentation de l’irresponsabilité: depuis un siècle, elle est de tradition dans la carrière des lettres 4 . »

      A questa asserzione fa seguito, qualche pagina dopo, il rimprovero mosso da Sartre a scrittori del calibro di Flaubert, Balzac, i fratelli Goncourt, accusati di non aver preso parte attiva alle turbolente vicende del loro tempo, ossia alle giornate del ’48, e al movimento della Comune nel 1871:

      « On regrette l’indifférence de Balzac devant les journées de 48, l’incompréhension apeurée de Flaubert en face de la Commune; on les regrette pour eux: il y a là quelque chose qu’ils ont manqué pour toujours 5 . »

      Al silenzio di questi scrittori vengono contrapposti alcuni esempi di quello che Sartre chiama engagement e che, secondo lui, deve essere l’essenza di ogni operazione letteraria:

      « Je tiens Flaubert et Goncourt pour responsables de la répression qui suivit la Commune parce qu’ils n’ont pas écrit une ligne pour l’empêcher. Ce n’était pas leur affaire, dira-t-on. Mais le procès de Calas était-ce l’affaire de Voltaire? La condamnation de Dreyfus était-ce l’affaire de Zola? L’administration du Congo était-ce l’affaire de Gide? 6 »

      Questi autori non si sono sottratti alla loro epoca, non si sono rinchiusi nella famosa torre eburnea in cui alcuni volevano collocare gli intellettuali (l’esempio più vicino a Sartre è quello di Julien Benda e del suo celeberrimo pamphlet del 1927, La Trahison des clercs, messo apertamente sul banco degli imputati dal filosofo esistenzialista): al contrario, essi hanno scelto di essere uomini del loro tempo, riconoscendo che l’uomo è en situation, "dans le coup", cioè "implicato". L’opera letteraria si pone allora come una vera e propria scelta esistenziale in cui soltanto scegliendo di impegnarsi, di riconoscersi "imbarcato", di vivere appieno il proprio tempo, lo scrittore consente alla letteratura di svolgere il suo vero compito, che è - secondo Sartre - quello di assumere una funzione sociale.

      Tra l’altro, qualche anno dopo, in Qu’est-ce que la littérature?, la riflessione sull’estetica della letteratura diventerà per Sartre il mezzo per affermare la sua personale poetica, la quale si salda a quella che è, secondo il filosofo, la situazione degli scrittori nel 1947:

      « Puisque nous étions situés, les seuls romans que nous pussions songer à écrire étaient des romans de situations, sans narrateur interne ni témoins tout-connaissants... bref, il nous fallait... peupler nos livres de consciences à demi lucides et à demi obscures... présenter des créatures... qui ne pourraient jamais décider du dedans si les changements de leurs destins venaient de leurs efforts, de leurs fautes ou du cours de l’univers 7 . »

      Un’aria decisamente diversa si respira volgendosi, invece, all’Idiot. In una delle interviste da lui rilasciate alla vigilia dell’uscita dei primi due tomi del lavoro su Flaubert, Sartre, tra le altre cose, faceva la seguente affermazione: « Un écrivain est toujours un homme qui a plus ou moins choisi l’imaginaire 8 . »

      L’interesse di Sartre per la teoria dell’immaginario ha origini antiche e investe l’estetica sartriana già a partire dalle opere giovanili. A questo tema sono dedicati, infatti, L’Imagination (1936) e L’Imaginaire. Psychologie phénoménologique de l’imagination (1940) oltre ad una sezione importante del Saint Genet comédien et martyr (1952) 9 . Nell’Idiot Sartre propone e porta avanti la tesi che Flaubert sia stato un uomo totalmente alienato rispetto alla realtà e che la sua scelta di diventare scrittore sia venuta a coincidere con la volontà, da parte sua, di rifugiarsi nell’immaginario per trovare una via d’uscita alla sua nevrosi.

      Per chiarire meglio quest’ultimo punto, può forse essere utile richiamare brevemente la famosa differenza tra percezione e immaginazione, di cui Sartre si occupa ne L’Imaginaire, ed il concetto husserliano di intenzionalità così come viene descritto da Sartre in un breve testo del 1939, Une idée fondamentale de la phénoménologie de Husserl: l’intentionnalité. In quel breve intervento Sartre riassumeva uno dei concetti-chiave della filosofia di Edmund Husserl, l’idea che la coscienza è qualcosa che trascende totalmente l’individuo, qualcosa che "n’a pas de ‘dedans’; qui n’est rien que le dehors d’elle même" 10 . Poiché ogni coscienza è sempre coscienza di qualcosa, la coscienza si pone sempre come superamento, come Altro-da-sé e "cette nécessité pour la conscience d’exister comme conscience d’autre chose que soi, Husserl la nomme intentionnalité" 11 .

      Per quanto concerne, invece, la dicotomia percezione/immaginazione, Sartre, confutando quelle teorie dell’immaginario che concepivano l’immagine come un oggetto racchiuso nella coscienza, affermava che essa rappresenta, invece, "une certaine façon qu’a l’objet de paraître à la conscience, ou, si l’on préfère, une certaine façon qu’a la conscience de se donner un objet" 12 .

      In altre parole, l’immaginazione, diversamente dalla percezione, nella quale la coscienza trascende se stessa proiettandosi verso oggetti reali e presenti, si caratterizza per il fatto di "intenzionare" oggetti assenti o, addirittura, irreali. Con l’atto immaginativo, infatti, la coscienza, distaccandosi dalla realtà, può costituire un oggetto irreale che ha la funzione di negare la realtà. Ne L’Imaginaire noi troviamo, allora, l’immagine descritta come un irréel e come un néant, il che significa, da un lato, che essa è priva di realtà, e dall’altro che essa nega il mondo in quanto "l’irréel doit toujours être constitué sur le fond du monde qu’il nie" 13 .

      Ora, mettendo in relazione l’opzione di Flaubert per l’immaginario con la precedente affermazione di Sartre secondo la quale uno scrittore è qualcuno che sempre sceglie, "plus ou moins", l’immaginario, è forse possibile sostenere che uno dei motivi per i quali Sartre ha scelto Flaubert sia che questi è l’autore che meglio di tutti gli consente di presentare in maniera chiara ed estesa un’applicazione pratica delle sue teorie degli anni Trenta.

      In altre parole, attraverso la figura di Flaubert, Sartre ha l’occasione di esplicitare i suoi mutati assunti teorici per quanto riguarda la propria personale concezione e definizione della letteratura. Così, mentre nei testi dell’engagement l’opera letteraria veniva considerata da Sartre come direttamente legata alla realtà, adesso essa si presenta, al contrario, come la manifestazione dell’immaginario, cioè dell’irrealtà.

      Questo passaggio ci sembra ben riassunto, come segue, da Paolo Tamassia:

      Se la prosa della letteratura impegnata presupponeva un rapporto di causa-effetto tra lo scrittore e il mondo attraverso l’opera, il nulla dell’immaginazione interrompe questa linearità trasparente: l’immaginario incarnato nell’opera produce effetti sulla realtà, al di là dei limiti predefiniti dal progetto dell’autore 14 .

      Il primo punto della nostra ipotesi sull’evoluzione del pensiero di Sartre riscontrabile dallo studio dei suoi testi di critica letteraria mostra dunque il passaggio dalla letteratura come engagement alla letteratura come imaginaire.

      Se il mito di Sartre teorico dell’engagement ad ogni costo è un cliché che va sfatato e ridimensionato, anche la definizione di "filosofo della libertà", con la quale Sartre è stato spesso etichettato, richiede, a nostro avviso, qualche precisazione. Il tema della libertà e della responsabilità individuale, infatti, che domina la riflessione filosofica sartriana a partire dall’Être et le Néant (1943) sino agli articoli programmatici, passando attraverso L’Existentialisme est un humanisme (1946) e il Baudelaire (1946), sembra subire nell’Idiot una sostanziale e decisiva verifica.

      Il testo dal quale ci sembra necessario partire, questa volta, è L’Existentialisme est un humanisme, pubblicato l’anno successivo alla celebre conferenza del 29 ottobre 1945 al Club Maintenant. In quell’occasione, come è noto, Sartre sgombrava il campo dai numerosi equivoci sorti a riguardo della filosofia esistenzialista e aveva l’opportunità di esplicitare in maniera più sintetica e diretta alcuni concetti-chiave del suo pensiero, già espressi nell’Être et le Néant, rendendoli comprensibili e fruibili anche ai meno edotti sui temi filosofici.

      Lo scopo dichiarato del famoso opuscolo consisteva nell’esprimere una posizione atea coerente. L’ateismo dei philosophes del XVIII secolo, rilevava Sartre, aveva soppresso la fede nell’esistenza del Creatore ma non si era posto di fronte all’evento della morte di Dio con coerenza e radicalità. Infatti, secondo Sartre, bisognava riconoscere che, avendo abolito l’idea di Dio, l’uomo si trovava ad essere inspiegabilmente "gettato" nel mondo e abbandonato a se stesso. Non solo: perdendo il proprio punto di riferimento ultraterreno, egli si trovava inoltre a dover mettere in discussione, addirittura a dover demolire, l’impalcatura dei valori considerati validi sino a quel momento in quanto l’oggettività di questi valori non era garantita che dal cristianesimo.

      In altre parole, se Dio non esiste, la logica conclusione è che l’uomo si trova messo di fronte alla propria libertà assoluta e ingiustificabile: egli è costretto allora ad inventarsi, vale a dire a creare ex-novo i propri valori e ad autoeleggersi legislatore morale per se stesso e per gli altri. È la famosa "condanna alla libertà":

      « Ainsi, nous n’avons ni derrière nous, ni devant nous, dans le domaine numineux des valeurs, des justifications ou des excuses. Nous sommes seuls, sans excuses. C’est ce que j’exprimerai en disant que l’homme est condamné à être libre. Condamné parce qu’il ne s’est pas créé lui-même, et par ailleurs cependant libre, parce qu’une fois jeté dans le monde, il est responsable de tout ce qu’il fait 15 . »

      E più avanti Sartre afferma che, per giustificare la propria mancanza di impegno, non è possibile rifugiarsi dietro la scusa delle passioni umane o appellarsi alla comoda scorciatoia del determinismo. Si è liberi, totalmente:

      « Si nous avons défini la situation de l’homme comme un choix libre, sans excuses et sans secours, tout homme qui se réfugie derrière l’excuse de ses passions, tout homme qui invente un déterminisme est un homme de mauvaise foi... La mauvaise foi est évidemment un mensonge, parce qu’elle dissimule la totale liberté de l’engagement 16 . »

      Il problema è certamente vasto e ha sempre suscitato ampi dibattiti sui quali non possiamo soffermarci in quanto essi non costituiscono lo scopo precipuo di questo contributo. Quello che qui ci interessa sottolineare, invece, è questa fiducia di Sartre nella totale liberté dell’individuo e l’idea ad essa sottesa secondo la quale, al di là delle circostanze, l’uomo ha sempre la possibilità di esercitare la propria libertà e di essere artefice del proprio destino.

      L’elaborazione di queste teorie coincide con la stesura, da parte di Sartre, della prima delle sue grandi biografie, il Baudelaire. Ora, sembra indubbio che questa fiducia nella sostanziale capacità dell’uomo di autodeterminare la propria esistenza finisce inevitabilmente con l’influenzare l’analisi dell’esperienza esistenziale del grande poeta delle Fleurs du Mal compiuta da Sartre.

      Baudelaire, fino a quel momento considerato da molti studiosi ed estimatori come una vittima dell’incomprensione e dell’ostilità della società in tutte le sue manifestazioni ed istituzioni (scuola, famiglia, magistratura, mondo della cultura e delle arti), viene invece messo sotto accusa da Sartre che pronuncia una serrata arringa, una vera e propria requisitoria contro il più celebre dei poeti maudits. Infatti, la tesi che percorre tutto il Baudelaire consiste nell’affermare che, lungi dall’essere stato una vittima, Baudelaire ha desiderato e, in parte, addirittura provocato lui stesso la riprovazione di cui è stato fatto oggetto durante la sua vita.

      Infatti, nell’analisi di Sartre, Baudelaire viene presentato come colui che sceglie il Male non per contestare il Bene e mettere in discussione i valori della morale convenzionale ma, al contrario, per assumere un ruolo, quello del reprobo che ammette di essere un peccatore e per questo merita la giusta punizione. Così facendo, però, egli non fa che affermare in maniera ancora più forte la bontà di quei valori ai quali egli in apparenza si sottrae ma cui, in sostanza, si conforma.

      Un esempio paradigmatico di questo atteggiamento ci è offerto, secondo Sartre, dal processo alle Fleurs du Mal: in questa occasione, quando si trova davanti ai procuratori del tribunale, Baudelaire fa il gioco dei suoi accusatori e, anziché rivendicarne i pregi, mente sulla sua opera e ne falsifica il significato dicendo che essa è stata scritta per suscitare l’orrore del vizio: sarebbe stata una preziosa occasione per rivendicare la propria libertà e per opporre al bigottismo dei censori la sua superiorità morale, ma egli rifiuta di servirsene. Per questa ragione, Sartre si mostra addolorato di fronte all’atteggiamento adottato da Baudelaire:

      « Il eût suffit d’un rien, d’un mouvement d’esprit, d’un simple regard jeté en face sur ces idoles pour faire tomber soudain ses chaînes. Il ne l’a pas fait, il a accepté toute sa vie de juger et de laisser juger ses fautes à la mesure commune... il a choisi autrement, il a voulu avoir une bonne conscience, il a compris qu’il se libérerait seulement par l’invention radicale et gratuite du Bien et du Mal... la grande liberté créatrice de valeurs émerge dans le néant: elle lui fait peur 17 . »

      Vale la pena ricordare inoltre le domande incalzanti che Sartre pone all’inizio del testo e nelle quali egli preannuncia subito l’idea portante del suo discorso e getta il suo guanto di sfida a coloro che hanno analizzato la figura di Baudelaire compiangendolo:

      « "Il n’a pas eu la vie qu’il méritait". De cette maxime consolante, la vie de Baudelaire semble une illustration magnifique. Il ne méritait pas, certes, cette mère, cette gêne perpétuelle, ce conseil de famille, cette maîtresse avaricieuse, ni cette syphilis... Est-il donc si différent de l’existence qu’il a menée? Et s’il avait mérité sa vie? Si, au contraire des idées reçues, les hommes n’avaient jamais que la vie qu’ils méritent? 18  »

      Queste domande incalzanti sembrano riassumere le idee principali di tutta la filosofia sartriana degli inizi: l’essenza dell’uomo può essere compreso soltanto a posteriori, in quanto un uomo è ciò che fa (l’esistenza precede l’essenza); non esistono delle passioni invincibili che obbligano un uomo ad agire in un modo anziché in un altro, e affermare il contrario significa essere deterministi ed in cattiva fede ("il n’y a pas de déterminisme, l’homme est libre, l’homme est liberté", scrive Sartre ne L’Existentialisme est un humanisme); ogni uomo è responsabile delle proprie passioni, anche le più turpi, in quanto responsabile delle proprie azioni.

      L’Idiot, al contrario, sembra mostrare un deciso mutamento di prospettiva per quanto concerne questa visione del concetto di libertà da parte di Sartre. A onor del vero, c’è da dire che il pensiero di Sartre subisce un’evoluzione già a partire dai primi anni Cinquanta in seguito al suo ralliement al marxismo. In questi anni, infatti, Sartre è portato ad assumere delle posizioni meno radicali e schematiche. Ecco cosa il filosofo dichiara in un’intervista rilasciata in quegli anni:

      « L’autre jour, j’ai relu la préface que j’avais écrite pour une édition de ces pièces [Les Mouches, Huis clos et d’autres], et j’ai été proprement scandalisé. J’avais écrit ceci : "Quelles que soient les circonstances, en quelque lieu que ce soit, un homme est toujours libre de choisir s’il sera un traître ou non." Quand j’ai lu cela je me suis dit : "C’est incroyable: je le pensais vraiment !"  » 19

      In questo senso, l’opera letteraria che probabilmente segna una cesura nel pensiero di Sartre è proprio una pièce, Le Diable et le bon Dieu, pubblicata nel 1951. In questo dramma Sartre mostra il personaggio di Heinrich, prete dei poveri a Worms, che si trova di fronte ad un dilemma: consegnare le chiavi della città al capitano Goetz, come gli è stato ordinato dal suo vescovo e, così facendo, tradire i poveri che saranno massacrati dall’esercito, oppure combattere a fianco dei poveri disubbidendo e tradendo la Chiesa? In altre parole, Heinrich, personaggio esemplare nell’evoluzione del pensiero sartriano, non ha nessuna via d’uscita: in qualunque modo egli agirà sarà sempre un traditore. Egli è, quindi, totalmente condizionato dalla sua situazione e la sola libertà che gli resta consiste nello scegliere quale delle due parti tradire.

      Il punto ci sembra di estrema rilevanza: mentre prima l’individuo, secondo Sartre, poteva farsi indipendentemente dal suo contesto sociale e culturale, e il filosofo arrivava addirittura ad affermare che "[t]out projet, même celui du Chinois, de l’Indien ou du nègre, peut être compris par un Européen" 20 , ora Sartre è costretto a rivedere la sua posizione e ad aggiustare il tiro affermando che l’individuo è inevitabilmente sottoposto alla forza degli eventi.

      Tuttavia, è nell’Idiot che questa idea viene espressa in maniera più articolata, anche in virtù del gran numero di pagine che Sartre concede a se stesso per svilupparla. Infatti, tutta la lunga prima parte del testo su Flaubert, che andiamo brevemente a riassumere, è dedicata all’esame del pesante condizionamento familiare subito da Flaubert negli anni dell’infanzia, un condizionamento che, secondo Sartre, ha trasformato l’autore di Madame Bovary in un nevrotico.

      Infatti, osservando da vicino l’universo familiare dei Flaubert è possibile comprendere il modo in cui lo scrittore di Croisset è stato costituito (e infatti la prima parte dell’Idiot si intitola significativamente la constitution). Il padre, Achille-Cléophas, rappresenta per Sartre, uno strano miscuglio di scientismo positivista e feudalesimo. Infatti, pur imbevuto dei nuovi ideali della scienza e del razionalismo e laureato in medicina, la sua idea di famiglia coincide con quella delle antiche società feudali e teocratiche nelle quali il pater familias era una sorta di monarca assoluto per diritto divino.

      Per quanto riguarda la madre, essa viene additata da Sartre come la principale responsabile dello sviluppo tardivo di Gustave.

      Tutto nascerebbe, secondo Sartre, da una ferita esistenziale subita dalla signora Caroline: sua madre è morta nel darla alla luce ed ella, orfana, si è sentita respinta dalla morte di sua madre e l’ha interiorizzata come una condanna. Per sanare questa mancanza di affetto, ella spera allora di partorire una bambina con la quale identificarsi e sulla quale riversare il proprio affetto:

      « Nul doute que la petite orpheline, autrefois, n’ait souvent rêvé à la seule manière dont elle pût retrouver la famille perdue: elle souhaitait le mariage, être mère à son tour et ressusciter sa mère par ses propres maternités... Caroline, accouchant d’une fille, c’était sa propre mère l’enfantant 21 . »

      Il primo figlio generato da questa donna con la vocazione di moglie è un maschio, Achille, e fin qui Caroline non se la prende troppo a male perché è giusto che il pater familias abbia il suo erede. Dopo Achille, ci sono due bambini che muoiono precocemente e, infine, arriva Gustave. È probabile che questi sia stato visto da Caroline come un usurpatore e che lei, pur senza arrivare ad odiarlo, si sia presa cura di lui con efficienza e per senso del dovere, ma senza affetto, solo per compiacere Achille-Cléophas e per senso di responsabilità materna:

      « J’imagine donc que Madame Flaubert, épouse par vocation, était mère par devoir. Excellente mère, mais non pas délicieuse : ponctuelle, empressée, adroite. Rien de plus. Le fils cadet fut précautionneusement manié : on lui ôtait, on lui remettait ses langes en un tournemain ; il n’eut pas à crier, on le nourrissait toujours à point. L’agressivité de Gustave n’eut pas l’occasion de se développer. Frustré, pourtant, il le fut : bien avant le sevrage mais sans cris ni révolte ; la pénurie de tendresse est aux peines d’amour comme la sous-alimentation à la faim 22 . »

      Gustave, allora, non è stato un bambino non amato, ma un bambino mal amato e le cure che gli sono state rivolte in questo modo da sua madre sono all’origine, secondo Sartre, della sua costituzione passiva: lo scrittore interiorizza infatti la mancanza di amore materno come una mancanza di amore di sé, come una non-valorisation.

      Inoltre, l’incapacità di Gustave ad imparare a leggere prima dei nove anni suscita immediatamente, in seno alla famiglia, un confronto con il Delfino di famiglia, il brillante Achille, e Sartre immagina che un giorno gli possa essere stata rivolta dai genitori la fatidica frase che dà il titolo al saggio: "Tu seras l’idiot de la famille" 23 .

      Ora, come abbiamo visto, mentre nei testi immediatamente successivi al secondo dopoguerra e nel Baudelaire Sartre affermava che l’uomo è "seul, sans excuses et sans secours" e, in ogni caso, egli è sempre capace di superare la situazione data attraverso l’esercizio della propria libertà assoluta, la descrizione della costituzione del piccolo Gustave e l’analisi dei condizionamenti familiari da lui subiti sembrano portare ad una diversa conclusione. A differenza di Baudelaire, infatti, la cui sconfitta esistenziale era il risultato di una precisa scelta esistenziale da parte del poeta, Flaubert appare votato, predestinato alla passività e allo scacco in virtù non di una scelta deliberata ma del suo statuto di secondogenito, di eterno secondo del solido fratello maggiore Achille. Se si confrontano le affermazioni del 1945 (p. 9) con la seguente dichiarazione del 1971 si avrà probabilmente una chiara idea dell’evoluzione del pensiero sartriano:

      « D’une certaine façon nous naissons tous prédestinés. Nous sommes voués à un certain type d’action dès l’origine par la situation où se trouvent la famille et la société à un moment donné. Il est certain, par exemple, qu’un jeune Algérien né en 1935 est voué à faire la guerre... [Dans le cas de Flaubert] les contraintes familiales exercent sur lui un conditionnement rigoureux: dans une famille de scientifiques on lui refuse la possibilité d’être savant, puisque la succession du père revient à l’aîné. Tout est joué d’avance: il reste à Gustave des options, mais des options conditionnées. C’est ce que je montre dans mon livre 24 . »

      L’uomo libero de L’Existentialisme est un humanisme, capace di pianificare il proprio destino attraverso un libero progetto autofondativo (cioè, posto in essere dal soggetto in maniera autonoma), si è trasformato, nell’Idiot, in un essere "voué" e "prédestiné" che deve confrontarsi con l’amara constatazione che tutto è già deciso in partenza e che al singolo non restano che poche "options conditionneés".

      Per questa ragione, è possibile fissare un secondo punto importante nell’evoluzione del pensiero sartriano, il passaggio dalla libertà assoluta del progetto alla libertà limitata del condizionamento.

      Rimanendo nell’àmbito di un confronto tra il Baudelaire e l’Idiot andiamo ora a presentare il terzo ed ultimo punto della nostra ipotesi: il mutato rapporto di Sartre con la Storia.

      Una delle critiche più frequenti rivolte a Sartre per il Baudelaire è di aver privilegiato il Soggetto rispetto al contesto storico e, nel caso specifico, di avere focalizzato tutta l’attenzione sul poeta delle Fleurs du Mal svalutando, in questo modo, l’importanza decisiva dell’ambiente. Il primo a muovere a Sartre questo appunto è Georges Bataille, il quale aveva dedicato uno degli otto saggi del suo La Littérature et le Mal proprio al Baudelaire di Sartre:

      « Le défaut des analyses de Sartre est justement de se contenter de [l’aspect subjectif]. C’est ce qui les réduit à des aperçus négatifs, qu’il faut insérer dans le temps historique pour en apercevoir la vue positive. L’ensemble des rapports de la production et de la dépense est dans l’histoire, l’expérience de Baudelaire est dans l’histoire 25 . »

      Qualcosa di analogo dice Douglas Collins alcuni anni dopo in un testo di grande interesse dedicato a Sartre biografo:

      "One of our reservations [to the Baudelaire] concerns the book’s psychologism, its ignorance of the social determinants of mental life. Sartre does not reveal the sway of the universal, that is, of the society, within and over the individual... All is reduced to the subject. The world surrounding Baudelaire seems touched by history, while the poet himself is not 26 ."

      Queste critiche all’eccessiva fiducia di Sartre nella possibilità e nella capacità del Soggetto di decidere della propria esistenza a prescindere dalla situazione storica ci appaiono giuste e sembrano riallacciarsi, per certi versi, al tema appena affrontato relativo alle possibilità di dominare gli eventi da parte del singolo . È forse uno dei motivi a causa dei quali Sartre, nella già citata intervista pubblicata sulla "New Left Review", considerò il suo lavoro su Baudelaire "une étude très insuffisante, extrêmement mauvaise, même" 27 .

      Diversamente dal Baudelaire, l’Idiot mostra un deciso allargamento della visione storica passando dal piano individuale a quello collettivo.

      Infatti, il III volume del saggio su Flaubert, che si pone quasi come un’opera a sé stante, contiene un’acuta analisi storica e sociologica e un intrigante resoconto, degno della migliore antropologia, della società francese del XIX secolo (in particolare sugli anni che vanno dalla rivoluzione di luglio del 1830 al crollo del regime di Napoleone III il 4 settembre 1870), in una prospettiva che nel Baudelaire era del tutto assente.

      Ciò che distingue l’Idiot dal Baudelaire e dal resto della produzione di Sartre, rendendolo quasi un unicum nel panorama della critica letteraria non solo sartriana, è l’adozione dichiarata di un metodo che mescola, in un originale sincretismo, due dottrine apparentemente molto distanti come il marxismo e la psicanalisi. Se, come Sartre dichiara nelle Questions de méthode (1957, d’ora in avanti Questions), l’opera filosofica che introduce e prepara l’Idiot, il suo scopo è di "déterminer la biographie en approfondissant l’époque, et l’époque en approfondissant la biographie" 28 , questa commistione di materialismo dialettico e di psicanalisi si rende, come si cercherà di mostrare, quasi necessaria.

      Il metodo adottato da Sartre è il metodo progressivo-regressivo, attraverso il quale egli, pur affermando la sua adesione di principio al marxismo, polemizza apertamente con il metodo marxista di indagine che lascia da parte il Soggetto in nome di una dialettica materialista.

      Sartre cita nelle Questions una lettera indirizzata da Engels a Marx in cui veniva detto che "[l]es hommes font leur histoire eux-mêmes mais dans un milieu qui les conditionne" 29 . Ora, secondo Sartre, questa frase deve essere interpretata rettamente. I marxisti scelgono l’interpretazione più semplicistica: essi affermano, infatti, che l’uomo è interamente determinato dalle circostanze anteriori, dalle condizioni economiche e sociali in cui gli tocca in sorte di vivere e, di conseguenza, egli non è altro che un prodotto passivo della società. Secondo questa concezione le varie forme della coscienza degli uomini (come la morale, la religione, le sovrastrutture ideologiche in generale) sarebbero dipendenti dal processo della loro vita materiale, vale a dire dalle forze produttive, dai rapporti di produzione e dalle forme di divisione del lavoro attraverso cui gli individui soddisfano i loro bisogni primari.

      Ma per Sartre la spiegazione è più complessa ed articolata: se è vero che gli uomini sono pesantemente condizionati dal milieu e dalle condizioni socio-economiche, c’è da aggiungere che sono essi stessi ad aver creato quelle condizioni. In altre parole, il processo storico e la vita materiale non sono retti da forze disumane che sfuggono al controllo dell’uomo, ma sono il risultato generato dalla somma delle singole azioni individuali. Certo, il fatto che l’uomo sia responsabile della Storia non impedisce che questa gli sfugga di mano; tuttavia, afferma Sartre, "si l’Histoire m’échappe cela ne vient pas de ce que je ne la fais pas: cela vient de ce que l’autre la fait aussi" 30 .

      In altre parole, Sartre accusa i marxisti di compiere l’errore inverso rispetto a quello che Bataille imputava a lui: quello di ignorare l’entità individuale e di non riconoscere che è il singolo che fa la Storia e non viceversa.

      Certo, Sartre riconosce la validità del metodo marxista per quanto concerne un’interpretazione complessiva della realtà storica ed uno studio approfondito dei gruppi sociali, delle strutture economiche e delle forze produttive presenti in una data società; tuttavia, questo metodo ha il limite di trascurare il Soggetto, la sua irriducibile vicenda esistenziale e il ruolo cruciale rivestito nella sua formazione dall’infanzia se è vero che i marxisti, come lamenta Sartre "n’ont souci que des adultes: on croirait à les lire que nous naissons à l’âge où nous gagnons notre premier salaire" 31 .

      La sola disciplina che permette di colmare i vuoti lasciati dall’indagine marxista è, per Sartre, la psicanalisi. Ad essa sarà richiesto di supportare lo studioso quando questi si accingerà ad interrogare l’infanzia dello scrittore di Madame Bovary. Una citazione un po’ più estesa ci aiuterà forse a capire:

      « Le mélange explosif de scientisme naïf et de religion sans Dieu qui constitue Flaubert et qu’il tente de surmonter par l’amour de l’art formel, nous pourrons l’expliquer si nous comprenons bien que tout s’est passé dans l’enfance, c’est-à-dire dans une condition radicalement distincte de la condition adulte : c’est l’enfance qui façonne des préjugés indépassables, c’est elle qui fait ressentir, dans les violences du dressage et l’égarement de la bête dressée, l’appartenance au milieu comme un événement singulier. Seule, aujourd’hui, la psychanalyse permet d’étudier à fond la démarche par laquelle un enfant, dans le noir, à tâtons, va tenter de jouer sans le comprendre le personnage social que les adultes lui imposent, c’est elle seule qui nous montrera s’il étouffe dans son rôle, s’il cherche à s’en évader ou s’il y assimile entièrement. Seule, elle permet de retrouver l’homme entier dans l’adulte, c’est-à-dire non seulement pas ses déterminations présentes mais aussi le poids de son histoire 32 . »

      Per questa ragione, Sartre conclude che il materialismo dialettico può utilizzare proficuamente gli strumenti della psicanalisi per passare dalle determinazioni astratte e generali allo studio dell’individuo singolo, mentre la psicanalisi che, attraverso lo studio dell’infanzia, cerca di scoprire i condizionamenti familiari subiti dal bambino, può trarre profitto dalla consapevolezza che una determinata famiglia è il prodotto singolare di una determinata classe sociale all’interno di una determinata società.

      Lo scopo di Sartre, dunque, è quello di mostrare l’incontro tra lo sviluppo dell’individuo così come viene presentato dalla psicanalisi, e lo sviluppo della Storia, che è l’àmbito privilegiato del materialismo. In questo modo, si evita di sacrificare il Soggetto sull’altare della Storia e, al contempo, non si commette l’errore di isolare il singolo quasi estraendolo e astraendolo dal contesto storico e di limitare il "poids de son histoire".

      Quindi, il terzo ed ultimo punto di questa analisi si può riassumere come segue: il passaggio dalla centralità del singolo al rapporto di questi con la Storia.

      Concludendo, l’Idiot de la famille appare come il testo in cui Sartre tenta di realizzare una summa della sua critica letteraria e di raggiungere il suo obiettivo di "faire une critique totalisante" 33 , cioè di effettuare un’indagine ad amplissimo raggio, capace di investire tutti i campi del sapere, di mettere insieme le tecniche più disparate e di armonizzare le più diverse discipline.

      In questo senso, ci sembra estremamente intrigante la definizione di Serge Doubrovski che, a proposito dell’Idiot, parla di "une étrange toupie", riprendendo una definizione che Sartre stesso aveva utilizzato una volta per definire l’oggetto letterario ed evidenziarne il suo essere en mouvement. Doubrovski si immedesima nel lettore cercando di immaginare lo sconcerto che questi deve provare di fronte ad un’opera che nel (sotto)titolo (Gustave Flaubert de 1821 à 1857) si annuncia come una biografia per poi rivelarsi, ad ogni giro di trottola, appunto, ora saggio filosofico, ora esposizione di un caso clinico, ora romanzo di formazione, ora analisi sociologica:

      « L’objet littéraire est une étrange toupie qui n’existe qu’en mouvement", a jadis écrit Sartre. J’avoue connaître peu de « toupies » plus étranges que celles-ci. L’Idiot de la famille, c’est avant tout le lecteur. Hébété par son long effort, ébloui par les feux d’artifices qu’une prodigieuse intelligence fait briller sur deux mille pages, quand il se réveille de sa fascination, le voilà stupide : qu’a-t-il lu au juste ? Il n’en sait rien 34 . »

      Nell’impossibilità di ripercorrere il testo in tutte le sue 2802 pagine, si è cercato di mettere in rilievo alcuni punti che segnano l’evoluzione sia del pensiero che della critica letteraria di Sartre dai primissimi anni del secondo dopoguerra, in cui prevaleva l’ideale eroico dell’intellettuale engagé e dell’uomo totalmente libero rispetto alle circostanze, agli anni in cui la letteratura viene definita come imaginaire e in cui assumono il giusto peso i condizionamenti, sia storici che familiari.

      Un ritorno all’Idiot per cercare di individuare uno degli ultimi approdi di un pensiero così en mouvement come quello di Sartre ci appare allora irrinunciabile. Christina Howells ha probabilmente ragione quando scrive sul finire degli anni Settanta che "L’Idiot de la famille is arguably the most maligned, the most admired, and the least read of all Sartre’s works" 35 e chissà che la soluzione a questa carenza non possa trovarsi nella proposta lanciata da Michel Rybalka ad un recente Convegno tenutosi a Roma di scrivere un Idiot abrégé che permetta di superare l’argine posto tra il lettore e questo ricchissimo testo.

      Bibliografia

      Opere di Jean-Paul Sartre

      Baudelaire, Paris, Gallimard, 1996. Prima edizione: Nagel, 1946

      Le Diable et le bon Dieu, Paris, Gallimard, 1998. Prima edizione: 1951

      Les Mots, Paris, Gallimard, 1998. Prima edizione: 1963

      L’Être et le Néant, Paris, Gallimard, 1943

      L’Existentialisme est un humanisme, Paris, Gallimard, 1996. Prima edizione: Paris, Nagel, 1946

      L’Idiot de la famille. Gustave Flaubert de 1821 à 1857, Paris, Gallimard, voll. I e II, 1971, vol. III, 1972

      L’Imaginaire. Psychologie phénoménologique de l’Imagination, Paris, Gallimard, 1940.

      Questions de Méthode, Paris, Gallimard, 1960

      Situations, I, Paris Gallimard, 1947

      Situations, II, Paris Gallimard, 1948

      Situations, IX, Paris, Gallimard, 1972

      Situations, X, Paris, Gallimard, 1976

      Opere critiche su Jean-Paul Sartre

      COHEN-SOLAL ANNIE, Sartre, Paris, Gallimard, 1985

      COLLINS DOUGLAS, Sartre as Biographer, Harvard, Harvard University Press, 1980

      FARINA GABRIELLA, KIRCHMAYR RAOUL (a cura di), Il soggetto e l’immaginario. Percorsi nel Flaubert di Sartre, Roma, Edizioni Associate, 2001

      HOWELLS CHRISTINA, Sartre’s Theory of Literature, MHRA, London, 1979

      ROVATTI PIER ALDO, Che cosa ha veramente detto Sartre, Roma, Astrolabio, 1969

      SICARD MICHEL, Essais sur Sartre - Entretiens avec Sartre (1975-1979), Paris, Galilée, 1989, pp. 57-181

      TAMASSIA PAOLO, Politiche della scrittura. Sartre nel dibattito francese del Novecento su letteratura e politica, Milano, Franco Angeli, 2001

      Altre opere o saggi citati

      BATAILLE GEORGES, La Littérature et le Mal, Paris, Gallimard, 1957

      Articoli

      BURGELIN CLAUDE, ‘Lire « L’Idiot de la famille » ?’, in Littérature, n. 6, mai 1972, pp. 111-120

      DOUBROVSKI SERGE, ‘Une étrange toupie’, in Le Monde, 2 juillet 1971, pp. 16-17


      1. JEAN-PAUL SARTRE, Les Mots, Paris, Gallimard, 1998, pp. 29-30.

      2. Soprannome affibbiato a Sartre dalla madre Anne-Marie Schweitzer.

      3. PIER ALDO ROVATTI, Che cosa ha veramente detto Sartre, Roma, Astrolabio, 1969, p. 9. Il corsivo è di Rovatti.

      4. JEAN-PAUL SARTRE, Présentation des Temps Modernes, in ID., Situations, II, Paris, Gallimard, 1948, p. 9.

      5. Ivi, p. 13. Il corsivo è di Sartre.

      6. Ibidem.

      7. ID., Qu’est-ce que la littérature?, in ivi, p. 253. I corsivi sono di Sartre.

      8. ID., ‘Sartre par Sartre’, in ID., Situations, IX, Paris, Gallimard, 1972, p. 123. Prima di essere inserita in Situations, IX, l’intervista era apparsa sulla "New Left Review" il 26 gennaio del 1970.

      9. Per una trattazione precisa delle diverse applicazioni del concetto di immaginario nelle tre opere citate e nell’Idiot si rimanda a: PAOLO TAMASSIA, Politiche della scrittura. Sartre nel dibattito francese del Novecento su letteratura e politica, Milano, Franco Angeli, 2001, ed in particolare alla sezione dal titolo "L’imaginaire matérialisé": il potere eversivo dell’immaginario. Per uno studio autorevole del concetto di immaginario nell’Idiot de la famille si rimanda invece a: GABRIELLA FARINA, RAOUL KIRCHMAYR (a cura di), Il soggetto e l’immaginario. Percorsi nel Flaubert di Sartre, Roma, Edizioni Associate, dicembre 2001.

      10. JEAN-PAUL SARTRE, Une idée fondamentale de la phénoménologie de Husserl: l’intentionnalité, in ID., Situations, I, Paris, Gallimard, 1947, p. 33.

      11. Ibidem.

      12. ID., L’Imaginaire. Psychologie Phénoménologique de l’Imagination, Paris, Gallimard, 1940, p. 235.

      13. Ivi, p. 236.

      14. PAOLO TAMASSIA, op. cit., p. 135.

      15. JEAN-PAUL SARTRE, L’Existentialisme est un humanisme, Paris, Gallimard, 1996, pp. 39-40. (Prima edizione: Paris, Nagel, 1946).

      16. 16 Ivi, p. 68. Il corsivo è mio.

      17. ID., Baudelaire, Paris, Gallimard, 1996, pp. 47 e 49. (Prima edizione: 1946). Il corsivo è mio.

      18. Ivi, pp. 17 e 18.

      19. ID., ‘Sartre par Sartre’, cit., p. 100. Il corsivo è nel testo.

      20. ID., L’existentialisme est un humanisme, cit., p. 61.

      21. ID., L’Idiot de la famille. Gustave Flaubert de 1821 à 1857, vol. I, Paris, Gallimard, 1971, p. 90.

      22. Ivi, p. 136.

      23. Ivi, p. 383.

      24. ID., ‘Sur L’Idiot de la famille’, in ID., Situations, X, Paris, Gallimard, 1976, p. 99. Il corsivo è mio. Prima di essere inserita nel decimo volume delle Situations, l’intervista citata era apparsa sul quotidiano "Le Monde" del 14 maggio 1971.

      25. GEORGES BATAILLE, La Littérature et le Mal, Paris, Gallimard, 1957, p. 42. Il corsivo è di Bataille.

      26. DOUGLAS COLLINS, Sartre as Biographer, Harvard, Harvard University Press, 1980, p. 74.

      27. JEAN-PAUL SARTRE, ‘Sartre par Sartre’, cit., p. 113.

      28. ID., Questions de méthode, Paris, Gallimard, 1960, p. 188.

      29. Ivi, p. 118.

      30. Ivi, p. 123.

      31. Ivi, pp. 87-88.

      32. Ivi, pp. 85-86. Il corsivo è di Sartre.

      33. ID., ‘Sur L’Idiot de la famille’, cit., p. 109.

      34. SERGE DOUBROVSKI, ‘Une étrange toupie’, in Le Monde, 2 juillet 1971, p. 16.

      35. CHRISTINA HOWELLS, Sartre’s Theory of Literature, MHRA, London, 1979, p. 92.

      Marfella Salvatore
      Wormser Gérard masculin
      La critica letteraria di Jean-Paul Sartre dall'engagement all'Idiot de la famille
      Marfella Salvatore
      Département des littératures de langue française
      2104-3272
      Sens public 2007-01-30

      Questo contributo si pone l'obiettivo di studiare l'evoluzione di alcuni concetti-chiave del pensiero di Jean-Paul Sartre mettendo a confronto i suoi scritti di critica letteraria del secondo dopoguerra (in particolare, il Baudelaire e i cosiddetti articoli programmatici) con L'Idiot de la famille, l'ultima delle sue grandi biografie. Nello specifico, vengono presentati ed analizzati tre aspetti del pensiero sartriano che mostrano il radicale mutamento di prospettiva compiuto dal filosofo. In primo luogo, viene mostrato come muta, nell'ottica di Sartre, la funzione della letteratura. Negli scritti degli anni '40, la letteratura è, per Sartre, engagement, cioè un modo per lo scrittore di aggredire la realtà sociale e di far sentire la sua voce sugli avvenimenti. Al contrario, nell'Idiot de la famille la letteratura viene presentata da Sartre come una fuga dalla Storia e un tuffo nell'immaginario. In secondo luogo, viene profondamente rivisto, da Sartre, il concetto di libertà. Mentre gli scritti degli anni '40 esaltano la libertà totale ed assoluta dell'individuo, a prescindere dalle sue condizioni materiali, nell'Idiot de la famille Sartre presenta un'analisi più approfondita della libertà, affermando che essa è condizionata a priori e fortemente limitata da fattori storico-politici, sociali e psicologici. Infine, nel testo su Flaubert, Sartre allarga in maniera consistente la prospettiva storica passando da una visione soggettiva e circostanziata, ad un'ampia trattazione degli aspetti politici e sociologici combinando, in un originale sincretismo, il pensiero marxista e la psicanalisi.

      The aim of this article is to analyse the development of some crucial concepts in Jean-Paul Sartre's thought by comparing his works of literary criticism written in the second postwar period (in particular, Baudelaire and the so-called programmatic articles) to L'Idiot de la famille, his last biographical essay. In particular, this paper presents and comments three important aspects of Sartre's thought. Firstly, it is stressed the changed role of literature in Sartre's point of view. In his works of the 40s, Sartre asserts that literature is engagement, that is commitment, the way in which a writer observes, considers and intervenes in society giving voice to his ideas and to social expectations. On the contrary, in L'Idiot de la famille, Sartre states that literature is an escape from reality and, all things considered, it is nothing but imagination. Secondly, Sartre deeply revises his idea of freedom. Whereas in his works of the 40s he exalts the total and absolute freedom of the individual, regardless of his social and psychological conditioning, in L'Idiot de la famille Sartre examines more closely this issue and he affirms that freedom is not absolute but restricted and that the individual is always conditioned a priori by historical, social and psychological factors. Finally, in his work on Flaubert, Sartre broadens the domain of History by passing from an analysis limited to the individual to a wide discussion involving several political and sociological issues and carrying out an original syncretism between Marxism and psychoanalysis.

      Arts et lettres
      Philosophie
      Sartre, Jean-Paul (1905-1980)